PILLOLE di ESPERIENZA PSICHIATRICA

  • Perchè PILLOLE? Perché “cinguettii” (twitter)? Abbiamo,nel corso della attività universitaria, scritto libri,pubblicato studi sperimenteli ,contribuito a trattati di psichiatria: la mia sensazione è che nessuno (o quasi nessuno) li abbia letti. Le persone non leggono più (o quanto meno leggono poco). Forse perché si sono abituate allaposizione passiva dell’ascolto o della visione di immagini che ci vengono proposti dalle trasmissioni radio-televisive. La lettura,rispetto a queste,è più attiva,èpiù impegnativa,permette momenti di riflessione. L’ascolto non permette “faticose” soste riflessive,se non successivamente. Se leggi,leggi e basta (al massimo ci può essere una musica di sottofondo).Quando ascoltiamo la radio o la TV possiamo fare altro contemporaneamente: non si “perde tempo” come nel leggere. Di qui il linguaggio dei social che frammenta l’informazione i. formulazioni scheletriche,appunto in pillole. E quindi? Sarà opportuno adeguarsi?
  • La Psichiatria e il rapporto con il malato di mente sono, a tutt’oggi, intrisi di pregiudizi e di informazioni distorte da parte della pubblica opinione, ma anche da una consistente percentuale della classe medica, il che ostacola gravemente la corretta immagine di una scienza in continua tensione verso acquisizioni sempre più qualitative e modelli di relazione con il paziente che non possono essere disgiunti dalla realtà della famiglia, della società, del lavoro.
  • Come aiutare una persona ad alleviare la SOFFERENZA MENTALE ? Prima di tutto con LE PAROLE: parole di conforto e di comprensione che esprimano la vicinanza a colui che soffre sono senz’altro efficaci e doverose. Tuttavia,spesso (non mi riferisco qui alle parole degli “addetti ai lavori” – psicologi,psicoterapeuti,riabilitatori – persone preparate che sanno quando e che cosa dire) le parole che vengono rivolte a chi soffre in forma di consigli,esortazioni,opinioni suonano in realtà come giudizi (ovviamente negativi) che contribuiscono ad incrementare i sensi di colpa e l’autosvalutazione che già attanagliano la persona depressa o ansiosa ,spesso disperata. Chi soffre vuole soprattutto essere ASCOLTATO e non ricerca risposte o consigli quasi sempre espressione di chi li dà e non su misura di chi li riceve.
  • Per aiutare una persona ad alleviare la SOFFERENZA MENTALE ,più delle parole vale L’ASCOLTO,ovviamente un ascolto partecipe,non distratto,che faccia sentire l’introiezione del dolore altrui. Essere ascoltati vuol dire condividere il proprio dolore, ridurre così il carico di sofferenza scaricandola,per lo meno in parte,su di un altro. Vuol dire quindi alleggerire il dolore attraverso la condivisione,ma anche,mediante l’ascolto che uno fa di sé stesso (quasi in un soliloquio) cercare di darne una ragione,di trovarne i motivi,acquisirne il consenso: il ché è di per sé di notevole conforto. Vuol dire anche recuperare l’importanza della propria persona attraverso la costatazione di essere oggetto di interesse e di considerazione da parte di qualcuno,di essere in quel momento oggetto di interesse e non del giudizio o della commiserazione.
  • Per aiutare una persona ad alleviare la SOFFERENZA MENTALE valgono le parole (di comprensione e non di giudizio),vale l’ascolto (partecipe e attento),ma in molti casi è utile anche il ricorso ad un AIUTO FARMACOLOGICO. Gli psicofarmaci,da molti temuti e rifiutati,se prescritti con competenza ,mirati allo specifico singolo caso,riescono in genere ad attenuare la sofferenza (ansia,depressione,stress,nervosismo,reattività eccessiva,rimuginamenti ossessivi estenuanti,disturbi del sonno,somatizzazioni,etc),senza avere per lo più un “prezzo da pagare” in termini di fastidiosi effetti collaterali o di una tossicità che non esiste per la maggior parte delle terapie. L’effetto della terapia,quand’anche fosse a livello puramente sintomatico,consente alla persona di riridimensionare la gravità della propria condizione e specialmente di affrontare in maniera più razionale ed efficace le situazioni ed i problemi che sottendono il disturbo. In altre parole permette di passare dall’essere in balia dei problemi a gestirli e quindi forse anche risolverlii.
  • SPIEGARE vs GIUSTIFICARE : spiegare non significa giustificare,ovvero trovare motivi,cause e concause che rendano “GIUSTO” un accadimento. Spiegare vuol dire trovare la catena di eventi che rende “COMPRENSIBILE” il fatto,il perchè è accaduto,senza niente togliere alla sua natura ed al giudizio su di esso. Dare una ragione non vuol dire dare ragione.

  • SENTIRSI bene non vuol dire necessariamente STARE bene. Esistono situazioni nelle quali la persona,facendo riferimento alla sensazione soggettiva di benessere,non coglie la natura patologica del proprio stato. Ad es. nella fase eccitatoria del Disturbo Bipolare,caretterizzata come è da uno stato di euforia (euforia morbosa) e di inconsueta energia,il soggetto si fonda sul sentirsi bene,non avendo nessuna consapevolezza di non stare bene. E’ evidente come questa condizione renda estremamente problematica la gestione del caso.
  • DEPRESSIONE e TRISTEZZA non sono sinonimi. La tristezza,spesso motivata da accadimenti che si verificano nella vita ,è uno stato affettivo in cui la persona è “PIENA”,troppo piena di sentimenti ed emozioni ancorché negativi (dolore,scoraggiomento,disperazione) e si esprime con la tipica manifestazione della emotività negativa:il pianto. A differenza della tristezza e del lutto,in cui è il mondo che si è impoverito e svuotato e l’Io nella sua continuità storica ne subisce le conseguenze,la depressione è un “VUOTO” e,in quanto tale,è un’esperienza ancor più drammatica del “pieno” della tristezza,perchè qui è l’Io stesso ad essere impoverito e svuotato. Chi può essere ancora triste non è veramente depresso,e spesso è possibile leggere la fine di un episodio depressivo dal fatto che il paziente può essere nuovamente triste,può provare una “dolce tristezza liberatrice”,essendo la tristezza un segno di vita.
  • “ORA STO MEGLIO DI PRIMA DI AMMALARMI” .Molte persone che iniziano una terapia farmacologica motivata da uno stato di grave malessere psichico,non solo risolvono la condizione acuta che le ha spinte al trattamento,ma costatano che,con la terapia,STANNO MEGLIO DI PRIMA,quando stavano “bene”. Questa evoluzione sta a significare che,prima della fase acuta,hanno sempre vissuto in una condizione di sfumato,ma sostanziale,malessere ,interpretato come di natura caratteriale e,in quanto abituale,”normale”.
  • ANSIA vs PANICO. Qualcuno potrebbe pensare che l’attacco di panico (AP) sia un episodio di ansia molto intenso. Non è così. L’ansia è uno stato primariamente psichico in cui le manifestazioni fisiche ne sono la conseguenza. L’AP è invece un fenomeno primariamente fisico (tachicardia,difficoltà respiratorie,capogiri,tremori,senso di svenimento,etc) che vengono vissute secondariamente come paura di morire .(segue)
  • ANSIA vs PANICO. Nell’ansia,quand’anche intensa,la coscienza rimane sostanzialmente integra. Nell’AP si verifica,più evidente nei singoli attacchi,una alterazione della organizzazione nel tempo e nello spazio che è fondamentale per la nostra vita . E da questa perdita deriva la paura di perdere il controllo.(segue)
  • ANSIA vs PANICO. La crisi di ansia si manifesta più spesso in persone con un temperamento tendenzialmente ansioso e in contesti situazionali ansiogeni. L’AP,nella sua forma più tipica,esplode a ciel sereno,senza preavviso,più spesso nei momenti di rilassamento più che in quelli di stress e in una alta percentuale di casi in soggetti con temperamento ipertimico (vivaci,intraprendenti,energici,sicuri di sé,iperattivi).
  • Spesso il problema dell’INSONNIA si affronta, meglio che con ipnotici,sedativi o tranquillanti,con alcuni antidepressivi i quali,non soltanto permettono di avere un sonno più prolungato,ma specialmente ne migliorano la qualità favorendo un sonno ristoratore.
  • Nella gran parte dei casi il problema dell’INSONNIA è relativo al riposo notturno,ma nasce nel corso della giornata,essendo quasi sempre un sintomo,talvolta il sintomo principale,di una patologia più generale che può risultare mascherata dal disturbo del sonno. Ne segue che l’intervento terapeutico non può essere limitato alla assunzione serale di sostanze che favoriscono il sonno,ma deve rivolgersi allo stato della persona durante il giorno cercando di individuare e quindi curare la patologia di base ci cui l’insonnia è espressione.
  • la negazione “non” anteposta ad un aggettivo non identifica nesessariamente il suo contrario. Ad es. dire non normale non vuol dire anormale; non sei brutto non vuol dire che sei bello; non è ricco non è uguale a è povero; non sei depresso non significa che sei euforico; etc.etc. Dire ad una persona:“sei anormale” è un’offesa; dirle:”non sei normale” non è di per sé offensivo potendo configurare un apprezzamento della sua originalità,del suo distinguersi dagli altri.
  • Ricordare vs rivivere. L’EVENTO TRAUMATICO (quello la cui natura è tale da poter generare un vero e proprio disturbo mentale quale il Disturbo Post-traumatico da Stress) non viene semplicemente ricordato come un qualsiasi altro evento grave,ma viene effettivamente ri-vissuto così come è stato vissuto al suo verificarsi,quindi con un impatto emotivo ed una intrusività ben diversa dal ricordo. In quest’ultimo la componente emotiva è quella determinata dalla rievocazione dell’evento,mentre,nel caso del trauma,quello che si ripresenta è l’emotività dell’evento come se il tempo non fosse trascorso. Ovvero: nel ricordo l’evento è nel passato,nel trauma l’evento è nel presente indipendentemente da quanto sia il tempo trascorso.
  • Nel caso di una DEPRESSIONE che non risponde alla terapia spesso si pensa che aumentando il dosaggio dei farmaci o aggiungendone altri si ottenga il miglioramento. In realtà,in molti casi,si ottiene un migliore risultato riducendo le dosi od il numero dei farmaci,piuttosto che facendo l’opposto.
  • DURATA DELLA TERAPIA ANTIDEPRESSIVA. Gli antidepressivi,a differenza dei tranquillanti,non producono il loro effetto se non dopo qualche settimana dal raggiungimento della dose ottimale.Tuttavia,se il farmaco non determina un miglioramento nell’arco di un mese e mezzo,massimo due,è perfettamente inutile insistere nella somministrazione dello stesso farmaco,ma la terapia deve essere modificata.
  • INCREMENTO PONDERALE DA PSICOFARMACI. Alcuni psicofarmaci,NON TUTTI,possono determinare un incremento ponderale (aumento dell’appetito?,modificazioni del metabolismo?,desiderio di dolciumi?). In questi casi (ripeto: non in tutti) è consigliabile,al fine di prevenire il fenomeno,suggerire al paziente di assumere un un mero di calorie inferiore a prima e specialmente di limitare l’assunzione dicarboidrati.
  • LE BENZODIAZEPINE ( farmaci tranquillanti o ansiolitici),non sempre,ma spesso determinano assuefazione (necessità di aumentare la dose per ottenere lo stesso effetto) nonché dipendenza (comparsa di sintomi di astinenza nel caso di sospensione o riduzione troppo rapida del dosaggio).Quando si verificano tali situazioni uno dei problemi che nascono è relativo al fatto che tale contesto ostacola assai l’efficacia di altre terapie eventualmente assunte determinando una sorta di farmacoresistenza.
  • La DIAGNOSI DI ANORESSIA MENTALE. Alcune pazienti che ricevono una diagnosi di Anoressia Mentale in realtà non sono primariamente anoressiche. Talune non sono forse più correttamente inquadrabili in un Disturbo Ossessivo-compulsivo(DOC) il cui oggetto,a differenza delle più usuali tipologie di DOC,non è lo sporco o il controllo esasperato di enentuali colpe o inadenpienze,ma piuttosto la morfologia del corpo (similmente alla dismorfofobia)? In altri casi non è forse pensabile che il comportamento alimentare di restrizione calorica sia l’espressione dominante di un quadro depressivo che,specialmente in età giovanile,può assumere caratteristiche paucisintomatiche che nascondono la natura depressiva del quadro clinico (similmente alla così detta Depressione Mascherata)? E’ ovvio quanto un tali alternativi orientamenti diagnostici abbiano ripercussioni sulla impostazione della terapia.
  • Ancora sulla diagnosi di ANORESSIA MENTALE. La Anoressia Mentale è riconosciuta come disturbo della condotta alimentare con una sua identità ed autonomia nosografica. Tuttavia il suo quadro sintomatologico potrebbe essere anche la via finale comune di disturbi diversi da quello etichettabile come Anoressia Mentale ( ad es. Depressione oppure Disturbo Ossessivo-compulsivo oppure Dismorfofobia), Un corretto inquadramento dal punto di vista psicopatologico e quindi diagnostico comporta ovviamente importamti ripercussioni nella impostazione del trattamento e nella formulazione della prognosi.
  • STAT ROSA PRISTINA NOMINE,NOMINA NUDA TENEMUS. Il concetto di Disturbo Bipolare (ex Psicosi Maniado-depressiva) ha tardato ad entrare nel patrimonio culturale così come nella pratica clinico-diagnostica degli psichiatri: per molto tempo pazienti francamente bipolari sono stati diagnosticati come schizofrenici e come tali trattati,contribuendo così alla loro cronicizzazione. Poi (anche per merito di alcuni nostri contributi come ad es. il volume sulla “Euforia Morbosa” del compianto Aldo Giannini in collaborazine con il sottoscritto) la conoscenza della bipolarità si è fatta strada nella concettualizzazione psicopatologica e quella di Disturbo Bipolare è divenuta una diagnosi sepre più diffusa con le inesorabili conseguenze sul piano della terapia (vedi Sali di Litio).Tuttavia ,come spesso accade per i termini che definiscono un concetto,l’alone semantico della parola si è allargato a dismisura tanto da rischiare di perdere il rapporto con la sua origine e con il reale oggetto di riferimento (nuda nomina tenemus). Oggi si assiste ad un uso “a pioggia” della diagnosi di Disturbo Bipolare per cui una parte di pazienti che non lo sono vengono etichettati come bipolari,spesso il base ad un unico dettaglio comportamentale.
  • Nella ANORESSIA MENTALE sarebbero da evitare i farmaci che producono un aumento dell’appetito ed un aumento del peso perchè ,nel caso di un loro uso,le modificazioni dell’appetito e del peso corporeo si tradurrebbero inesorabilmente in un incremento delle condotte restrittive finalizzate ad arginare tali modificazioni.
  • UMORE INSTABILE. Molti pazienti psichiatrici che presentano vari tipi di disturbi soffrono anche di un disturbo del temperamento di tipo ciclotimico,ovvero umore instabile con oscillazioni spesso immotivate dalla depressione all’eccitamento se non alla franca euforia,di breve durata ma incontrollabili. In questi casi la finalità primaria della terapia è quella di stabilizzare l’umore,altrimenti il risultato dell’intervento sugli altri disturbi sarà modesto se non assente.